lunedì 28 gennaio 2008

apocalittici


…come si fa a trattenere l’impulso se non vile puerile di, non appena fabbricato un alcunché, sedere sull’uscio di casa o del padiglione nella fiera (con l’aiuto talvolta di altoparlanti, volantini, ragazze discinte distribuenti inviti, lancio elicotterico di assegni, spinte non metaforiche di scimmie antropomorfe raccolte in gruppi statali o teologici), sotto la scritta: “Godetevi per la burlesca somma di x sesterzi la penetrante soddisfazione del mio alcunché. Se non lo fate siete degli ignoranti. Vi supplico per la memoria di vostra madre e per l’orgoglio della patria: ho moglie e bambini. Aiutate l’industria nazionale: il mio alcunché sorpassa quelli precedenti”. Queste scritte ricattatorie possono naturalmente assumere gli aspetti più diversi, perfino un aspetto estremamente dignitoso (Joyce, Hugo von Hoffmannsthal). […]
Tali scritte e richiami sono così normalmente accettati, d’altra parte, che se un autore colpito da veggenza chiede come Kafka che le sue opere vengano bruciate (cioè non crede più alla possibilità di tornare in qualità di fantasma a godersi la fama futura), lo si considera delirante e gli si nega la facoltà di intendere e volere.
[…]
Che
La nube purpurea, pubblicata nel 1901, sia un capolavoro, continuamente più riuscito e trascendente di un qualsiasi romanzo di Émile Zola – per nominare a caso un grande famoso sull’orlo del secolo – sembra non solo accertabile in sede di lettura, ma anche dimostrabile in sede critica. Se si paragonano gli argomenti profferti, nel romanzo di Zola troveremo probabilmente una famiglia torbida, un padre ubriaco, una figlia prostituta, la differita constatazione che i poveri sono poveri, che gli avari sono avari e che a parigini abitano a Parigi; se a un tratto apparissero tra i personaggi un egizio, o semplicemente un pesce volante, ho l’impressione che il romanzo barcollerebbe, a dimostrare la fragilità della sua struttura. Nel romanzo di Shiel vengono proposte invece, tra molte altre cose, e senza barcollare: 1. la fine del mondo e relativa morte dell’umanità (con la singolare eccezione della moglie del Sultano di Turchia); 2. la scoperta del Polo Nord, che è un lago pieno di occhi con nel centro un’iscrizione che nessuno mai leggerà; 3. l’incendio e distruzione col tritolo di Londra, Parigi, Bordeaux, Bombay, Pechino, Nagasaki, San Francisco e Costantinopoli; […]

J. Rodolfo Wilcock, 1967


E poi si susseguono qui intorno film e romanzi sulla fine del mondo. In Io sono leggenda l’umanità è decimata da un virus generato da una cura del cancro mutante, e chi non muore si trasforma in una bestia rabbiosa dell’oscurità assetata del sangue dei pochi, inspiegabilmente, immuni. Un film di fantascienza ambientato nel 2009. Cioè l’anno prossimo.
In Dissipatio H.G. il protagonista, di ritorno dalla grotta dove ha rinunciato a suicidarsi, scopre che gli uomini si sono semplicemente dissipati, smateriallizati, dissolti senza motivo e spiegazione alcuna. Ma questo accadeva per Morselli nel 1973.

E così, ieri mattina il timido sole mi ha fatto venire voglia di una panarellina. Peccato non abitare più vicino a Genova.

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