domenica 30 marzo 2008

cinquanta secoli


Ognuno di noi muore solo e muore interamente: sono due verità che i più rifiutano, giacché i più durante tutta la loro vita sonnecchiano e quando stanno per morire temono di svegliarsi. La solitudine è una scuola di morte e l’uomo comune non la frequenterà mai, l’integrità si ottiene altrove, essa è dunque la ricompensa della solitudine …

La biografia di Albert Caraco sembra quella di un ipotetico personaggio di un racconto di Borges, oscura, frammentaria, prende le mosse in oriente ma prende subito altre direzioni: nasce nel 1919 a Costantinopoli, da una famiglia ebrea stabilitasi da diversi secoli in Turchia. Poi, al seguito della famiglia, Vienna e Berlino, prima della fuga dal nazismo a Parigi e in Uruguay. La conversione al cattolicesimo, per opportunità sociale, sarà poi negata nella solitudine degli anni interminabili di studio solitario e nel suicidio, messo in pratica come anticipato in un suo libro poche ore dopo la morte del padre. Attendo la morte con impazienza e arrivo ad augurarmi il decesso di mio padre, poiché non oso uccidermi prima che se ne vada. Il suo corpo non sarà freddo quando io non sarò più al mondo.

Breviario del caos è la raccolta delle ammonizioni di un nuovo profeta del Paganesimo, che vuole prendere l’uomo per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, che professa un ritorno alla terra giacché il Cielo è vuoto.

La morte e lo sfacelo sono in ogni pagina, il dito è puntato contro i sonnambuli che compongono la massa degli esseri umani, il loro numero che continua a crescere a dismisura, ma anche preti, bottegai e capi di governo, responsabili delle illusioni e delle menzogne che portano il mondo alla catastrofe: gli uomini saranno puniti per aver cercato un Padre in Cielo, sterminati violentemente dal fuoco, e i sopravvissuti saranno allora orfani consapevoli, che vivranno e moriranno da uomini liberi.

domenica 23 marzo 2008

in Messico


2666 (le prime tre parti del libro, probabilmente incompiuto, mentre la quarta e la quinta parte usciranno in autunno) mi sembra un libro scritto in fretta, in una notte, e pubblicato senza essere riletto. Mi sembra la brutta di 2666.

Da qui, mi chiedo chi era Roberto Bolaño, che vita aveva fatto, quanto era stato importante per lui il Messico, cosa pensava di quanto scriveva, e anche, curiosamente, cosa ci sia di Roberto Bolaño in 2666.

Difficile dire… certo è che, dopo una conversazione sugli editor di testi nelle case editrici, sono rimasto ingenuamente e profondamente colpito, a bocca aperta, da quante cose nascono dal lavoro metodico di revisione, correzione, riscrittura, dal peso del “mercato”, e da quanta poca sostanza ci possa essere a volte dietro un nome. Da quanto la vera sostanza sia a volte proprio quel nome.

Mi accorgo di stare leggendo ogni cosa giudicando e pensando al lavoro “oscuro” degli editor.

lunedì 3 marzo 2008

solo un poco

Di ritorno, ho trovato la primavera, quei fiori appassiti al sole di un aprile ormai lontano. Dalla finestra, la tv del vicino di fronte ancora accesa, come se fosse rimasta sempre così.
Un po' di voglia di piangere, per quello che ormai è perduto, per una canzone che va e viene, per le cose che vorrei dire e bisbigliare.
Ho letto che Sergio Quinzio si è ritirato nello studio della Bibbia dopo la morte di sua moglie. Lui scriveva che la manifestazione di Dio nella storia è sempre più debole e penosa. E che la sua adesione alla chiesa è, piuttosto che ostacolata, aiutata dall'evidenza del suo squallore: mi rispecchio in essa, mi riconosco in essa.
Restano solo i pensieri.

domenica 2 marzo 2008

l'ultimo sole

Mi è capitato, nel cuore dell'Europa, di sentire la mancanza della provincia in mezzo alla campagna, dove tra le mura strette non può accadere niente che sorprende.
È stata un'immagine della vita sempre uguale a se stessa, delle rassicuranti vie deserte del colore dei mattoni.
Mi chiedo come mai questa sensazione, mi chiedo se per caso non stia mettendo radici, forse senza volerlo veramente.
L'altra sera, parlando con J., ho spiegato che la nostalgia non è per forza di qualcosa, ma esiste anche in sé. Forse è solo la sensazione di non appartenere a un luogo, a un modo di essere, ad un momento, senza sapere perché, e senza avere una risposta.