mercoledì 18 febbraio 2009

risveglio


Mi siedo su una sedia - una sedia pieghevole da giardino - e penso al futuro. Voglio credere che un giorno sarò felice, che un giorno qualcuno mi vorrà bene. Ma è già tanto tempo che conto sul futuro!
Ogni giorno mi siedo su una sedia da giardino, che trovo molto leggera e modesta, e ci rimango a lungo prima di lasciarla la sera. Non ricordo il giorno in cui ho iniziato a usarla, ma credo che dipenda dal fatto che ogni cosa non ha un inizio e una fine precisi.

[...] Morante passò a narrarmi il suo microtesto sui dintorni del Vesuvio e cominciò dicendo che nei giorni della sua seconda giovinezza, verso gli anni settanta, tutto era obbligatorio e andava fatto con ordine accurato. Le cose, per esempio, iniziavano tutte dal principio e finivano con il finale. Perciò, in quei giorni, erano state una grossa sorpresa per lui, e non le aveva mai dimenticate, alcune dichiarazioni del cineasta Godard in cui sosteneva che gli piaceva entrare nelle sale cinematografiche senza sapere a che ora iniziasse il film, entrare a caso durante una sequenza qualsiasi, e andarsene prima che il film fosse terminato. Sicuramente Godard non credeva che l'argomento e la trama fossero importanti. E forse aveva ragione. Non era per niente chiaro se un frammento qualsiasi della nostra vita potesse essere precisamente una storia completa, con un argomento, un principio e una fine.
Il punto e a capo era qualcosa di intrinseco alla letteratura, ma non al romanzo della nostra vita. "A me pare che la vita non abbia trama [...]"

Negli ultimi tempi, mi sveglio con la sensazione che sia l'ultimo giorno prima di una partenza, non so bene per dove. Solo un ultimo sforzo, e poi finalmente qualcosa di sempre desiderato e atteso, non so bene cosa. Una sensazione prima molto forte, poi meno decisa ma sempre presente, latente. Anche qui, non ricordo il momento preciso in cui l'ho riconosciuta una mattina per la prima volta, ma per me rimane più reale di molti passaggi obbligati che succedono ogni giorno a se stessi.

Pensavo anche a questo ieri sera, mentre la luce molto tenue delle candele illuminava il buio e creava riflessi dorati sull'acqua.

domenica 8 febbraio 2009

tempo instabile avviato al miglioramento


Il bello è che non si può mai essere sicuri che non menta, che non deformi i fatti a suo piacimento. Eppure, anche facendolo, è sincero. Se scrive, ad esempio, "Mi imbattei nel mio interno preferito l'altro giorno, guardando un programma televisivo..." può anche riferirsi a un giorno di diversi anni fa, e non per questo mentire.

Io mi sono imbattuto veramente stamattina nel suo articolo su "Una casa come un cervello", e l'ho letto mentre facevo colazione con il tè e le fette di pane con la marmellata di limoni e mandarini.
Al 31 di rue Saint-Guillaume a Parigi c'è la casa che Enrique Vila-Matas ama, alla quale piacerebbe assomigliassero gli interni del proprio cervello. È stata disegnata da Pierre Chareau fra il 1928 e il 1932, ha interni ariosi e lineari e un cortile foderato con regolari file di mattonelle di vetrocemento.
Scrive Vila-Matas: Quando la settimana scorsa decisi di andare a dare un'occhiata all'esterno dell'architettura che tanto ammiravo, non ricordavo a quale numero della via si trovasse questa casa di vetro, e non mi riuscì di scovarla.
Con Paula de Parma percorsi per ben due volte la breve rue Saint-Guillaume, dall'inizio alla fine, e niente. Ne dedussi che avessero fatto sparire la Maison de Verre. [...]

Qualche ora più tardi, al mio ritorno a Barcellona, quasi fosse una conseguenza logica della mia ricerca di un interior design ideale, incappai assolutamente per caso in un libro che risultò essere perfetto per quello che cercavo: Casa. Un titolo sobrio per il romanzo dello scrittore peruviano Enrique Prochazka (Lima, 1960). Il libro, strutturato come se la mente dell'autore fosse audace e labirintica quanto la casa di cui narrava, si apriva con una solenne citazione di César Vallejo: "Una casa vive solo di uomini, come una tomba". [...]
Mi furono sufficienti quattro righe per riconoscere i bagliori di un'intelligenza fuori del comune quando lessi che viveva da tempo "in quella specie di lontana Sydney dello spirito che si chiama Lima", che passeggiava solo, il sabato notte, passando per tutti i centri culturali e i caffè, e che non lo conosceva nessuno, che nessuno lo salutava o tanto meno conosceva la sua faccia. "Mi cancellai in pace, anni fa. Entro alla libreria El Virrey piena di clienti, compro un libro, due libri, esco dalla libreria: nessuno sa chi sono. Mi cancellai...".

Vila-Matas passa da una casa di vetro a un cervello labirintico, e poi a un romanzo sugli interni della propria coscienza, e poi a un autore che vuole scomparire.
Ecco, questo scomparire ricorda da vicino un altro personaggio: il dottor Pasavento. Il suo eroe morale è Robert Walser, di cui ammira il desiderio di ritirarsi dal mondo e la ripugnanza per il potere. E come lui, arriva a confondersi piano con il tutto, e si converte nel nulla.
Coincidenza notevole, il dottor Pasavento è il personaggio che dà il nome al libro che Enrique Vila-Matas ha scritto nel 2005. Prima o dopo aver letto Prochazka? Prima o dopo non aver visto la Maison de Verre? Non ha importanza, e del resto dipende da che punto di vista si guarda, forse anche contemporaneamente. Sicuramente, però, un legame c'è, perché il libro di Vila-Matas è dedicato proprio alla sfuggente figura di Paula de Parma.

In mancanza di girasoli, ieri ho comprato dei fiori gialli, e li ho sistemati in un vaso rosso vicino alla finestra.