giovedì 13 novembre 2008

autobiografia di P.V.


[...] Con mio grande stupore mi trovo ad assumere figura e rango di poeta. Cerco di combinare le mie idee sulla poesia, le mie idee generali e i miei istinti musicali. [...] Il resto è noto. Frequento abbastanza i salotti, e sono considerato qualcuno a cui piace farlo. L'imprevisto mi ha sempre guidato. Non ho mai domandato niente - né perseguito niente di esterno - a me stesso. Ed ho raramente rifiutato. Possiedo una volontà abbastanza forte per le cose della mente. - Nessuna per le cose della vita. Non amo il facile. - E temo il difficile. Devo tutto ai miei amici. Il mio ingresso in letteratura a Louys, l'Accademia a Hanotaux e a qualche altro. Le mie opere a delle circostanze, e a degli editori.

Questa la fine di un'altra autobiografia, che per caso ho trovato in casa e ho letto. Altre due frasi mi hanno colpito, e il fatto di trovarle presenti nella stessa persona mi affascina.
Questa autobiografia parla di una notte in cui si rinasce, del desiderio di tendere soltanto all'esattezza spirituale e soprattutto di poesia.

Ricordo che per difendermi da una noia mortale, mi esercitavo durante le marce o le ore di guardia, a immaginare, con tutte le mie forze, scene o paesaggi, stati d'animo completamente diversi, è così precisamente che riuscivo a farmi una seconda vita per mascherare quella insopportabile realtà.
[...]
E faccio il mio 18 brumaio intimo - che si conclude con l'avvento di M. Teste. Ciò vuol dire che prendo la decisione di pensare in modo rigoroso - di non credere, di considerare nullo e non avvenuto tutto ciò che non può essere portato alla precisione totale, ecc...

mercoledì 12 novembre 2008

aspettando una mail


Stasera a cena non riuscivo a sopportare i rumori, soprattutto quelli del mangiare, erano come amplificati a dismisura alle mie orecchie, erano irritanti. Ho provato a tapparmi le orecchie annegando la testa distrattamente fra le mani, con i gomiti appoggiati al tavolo. Con lo sguardo perso senza dimensioni davanti a me, ho sentito il rumore dello spazio che avanzava, e per qualche attimo sono stato da solo con me stesso.

Prossime letture ipotetiche:
Dottor Pasavento, di Enrique Vila-Matas (ai piccoli racconti di Robert Walser non riesco ad appassionarmi veramente, ancora?, ma un uomo con la sua vita lo sento sempre vicino)
2666 seconda parte, di Roberto Bolaño
Vico, Autobiografia
Bruno, qualcosa
Manganelli, qualcosa
Tariq Ramadan, Islam e libertà
Ambrogio-Simmaco, L'altare della Vittoria
Alda Bruno, La casina, la casa, le cose

Al lavoro non c'è nemmeno un attimo di calma, tutto e sempre frenetico. Le pause sono un po' di musica al computer nella pausa pranzo (sono rimasto senza parole quando ho sentito per la prima volta la Sonata 17 del caro Ludovico Van, soprattutto il movimento finale), senza nessuno, e i viaggi in macchina in montagna e nel sole. Sono tutti sempre un po' malati, trascurati, e ogni tanto qualcuno cede. La sera sempre molto stanco, sempre poco tempo da dedicare al resto, sempre riposo forzato e quando non è forzato è preventivo. Ormai la gioia è riuscire a fare le piccole cose come pasare in lavanderia prima che chiuda.
Mi sto dimenticando di quanto esiste al di là di tutto questo. Mi sto dimenticando di troppe cose che mi sfuggono fra le mani.
E a qualcuno verrebbe voglia di dire: "... hai costruito tutto questo, va bene, hai successo e lo sai, ami leggere le tue lodi nei posti che contano e fai qualcosa di bello e piacevole. Ma alla fine: ma ch'a' fatt?".
Però alla fine mi dico che va bene così, e mi do tempo. E il tempo passa, e però vedo il bicchiere mezzo pieno, e anche un po' di più.

sabato 1 novembre 2008

scaramanzie


Il viaggiatore con la sigaretta l'aveva detto, partire di venerdì dal binario 17 non poteva promettere bene. E in effetti, nelle due ore passate fermi a Lambrate sono riuscito a finire il libro che avevo portato con me prima di partire, American ground.
È una bella sensazione, avere qualcosa da portare con sé in viaggio, da aprire dopo aver guardato per un po' il paesaggio scorrere dal finestrino. Peccato solo non avere di fianco nessuno con cui parlarne quando si alzano gli occhi dopo l'ultima pagina.

Alla fine, le ore di ritardo sono state più o meno tre, con un interminabile viaggio nella notte senza luci della campagna.
Poi, camminando fino a casa con le valigie, ho visto un barbone dormire avvolto dalle coperte con il proprio cane, e mi è venuto da ringraziare il cielo due volte. Una per avere un tetto sulla testa e coperte calde, l'altra per non essere ricco.