sabato 23 dicembre 2006

perdersi e ritrovarsi



Un 20 maggio Giorgio Messori scriveva:

“E oggi pomeriggio, mentre l’aspettavo, ho finito anche il libro degli ultimi racconti di Čechov, così belli e veri da far piangere, e ho letto anche nell’introduzione che Čechov li aveva scritti quando era al colmo d’amore per la donna che più ha amato in vita sua, ed era però cosciente pure della sua fine imminente tanto da scrivere a questa donna, in una lettera, che «lei era l’ultima pagina della sua vita». Che ho trovato una delle espressioni più belle, e malinconiche, che si possano dire a un’amata.
A volte con Ljuda ho la stessa impressione. Non qualcosa di passaggio, proprio l’approdo che si potrebbe meglio desiderare, difficile persino da immaginare”.

Sapeva, mentre scriveva, che in realtà stava scrivendo di se stesso?

Ogni volta che risfoglio il suo libro, diario o taccuino che dir si voglia, riscopro la dolcezza del perdersi e del ritrovarsi. Perdersi è prendere la via di un esilio volontario verso una città sconosciuta, stare solo con le proprie sensazioni e accettare di mettersi in gioco totalmente. Ritrovarsi è riconoscere se stessi in ciò che rimane sul fondo e riconciliarsi con i propri pensieri.
Perdersi accettando l’idea di portare con sé, su di sé, la solitudine e la malinconia. Ritrovarsi capendo che solitudine e malinconia non sono un fardello, ma compagni di viaggio dentro e fuori di sé. Essendo disposti ad accorgersi che la grazia della solitudine “arriva solo quando scompare la disgrazia del sentirsi soli”.

Giorgio Messori, Nella città del pane e dei postini.

Nessun commento: