lunedì 18 gennaio 2010

Anche nello spessore dei muri si può leggere il desiderio di possedere il tempo

Viaggiare mi piace perché mi dà la possibilità di vedere, soprattutto mi fa osservare molte cose dal finestrino. Spesso il viaggio ha un'andata e un ritorno (al punto di partenza), ma è quando non ne ha che assomiglia molto all'esistenza, che non è scritta su un copione e quindi sembrerebbe lasciare spazio all'improvvisazione.
Il vero viaggiare, credo, si accompagna ad un riflettere, che riesce quasi naturale e spontaneo per il semplice sfilare di paesaggi e dettagli nuovi, ma proprio per questo è anche molto difficile. L'attenzione è catturata da tutto questo inedito, e si è troppo occupati a registrarlo senza pause per poter pensare a quello che si vede. Per questo, alcuni fotografano dal finestrino, perché un'istantanea può sempre essere utile a richiamare una sensazione o eventualmente mostrarla ad altri.
Credo però che le espressioni più belle siano quelle che nascono immediatamente, e che bisogna essere pronti a fissare in qualche modo se non hanno la forza di conservarsi a lungo nella mente (come secondo me il più delle volte succede).
Il pensiero del titolo, che è la frase che più mi ha colpito in un libretto di Sottsass, nasce da uno dei suoi viaggi, in Iran nel 1998, dall'osservazione del muro di un antico edificio in rovina. Un muro spesso e possente, ad esempio, costruito con materiali forti e incorruttibili, può aspirare a consegnare all'eternità un edificio, una cassaforte di memorie e un supporto infinito di pensieri.
Ma come dice Sottsass stesso, quel desiderio dell'uomo è destinato ad esaudirsi raramente. Infatti, sembra che non ci sia idea, per generosa che sia, capace di resistere al tempo.

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