lunedì 3 maggio 2010

discorsi della cena


Scopro che esistono in Italia mille varietà di mela, anche se quelle comunemente disponibili sono soltanto sette o otto, selezionate dal mercato perché più resistenti al trasporto e alla conservazione. Il resto, oggi, sono consumi di nicchia.

– Ora che non c'è Beppino e son sola, farò economia, – dichiarava ogni momento mia madre, sentendosi povera. – Mangerò poco. Una minestrina, una braciola, un frutto.
Recitava ogni giorno questo menu. Credo che le piacesse dire "un frutto", perché ne ricavava un senso di frugalità. Riguardo alla frutta, usava comprare sempre certe mele chiamate, a Torino, "carpandue". Diceva "son carpandue!" come diceva di una maglia "è di Neuberg!" e di un paltò "è del signor Belom!" Quando capitava che mio padre si lamentasse delle mele che venivano in tavola, trovandole cattive, mia madre diceva stupita: – Cattive? Son carpandue!
Natalia Ginzburg

Così, sono rimasto catturato da una nostalgia per qualcosa che per me non è stato, per un'infanzia in una famiglia con fratelli, parenti, visite di vicini e conoscenti. Associo questa infanzia alla grande città, condomini come contenitori di storie, larghi corsi brulicanti, lunghi viaggi e racconti.
Ne sono rimasto affascinato e incuriosito, e mi è capitato di fantasticare come avrebbe potuto essere.

Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia…

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