mercoledì 7 gennaio 2009

una parabola


Nulla posseggo, nulla so, nulla posso, nulla ho imparato.
Ho ricevuto in regalo Siddharta, e ho finito di leggerlo in viaggio, credo in un bar una sera. La prima impressione, una volta giunto alla fine, è stata una lieve delusione: quanto appassionante era stata la continua ricerca di Siddharta, tanto insipido mi era sembrato il risultato. Quanto profondamente intime e vere le pagine sull'insegnamento della verità, sull'amore e sul tempo, tanto lontano e rinunciatario l'ipotetico panteismo in cui ogni oggetto è adorato perché è ed è sempre stato tutto.
Subisco però il fascino del pensiero a cui Siddharta arriva dopo gli anni della sua vita: di ogni verità, anche il contrario è vero.
Mi coinvolgono le pagine sul ruolo dell'insegnamento nella ricerca di ognuno. Il voler spiegare il mondo in un messaggio crea inevitabilmente categorie e modi di pensare che sono necessari per rendere comprensibile e trasmissibile l'intuizione iniziale, ma che in un modo o nell'altro finiscono per distorcerla e allontanarla dalla sua purezza. La saggezza in realtà è incomunicabile, e suona agli altri anzi come una pazzia; la vera illuminazione non proviene da una dottrina che si studia, ma da un'esperienza che io soltanto posso fare sulla mia pelle. L'uomo che cerca veramente non può accogliere nessuna dottrina; l'uomo che ha trovato, quello può salutare con gioia ogni dottrina.
Percepisco la grande distanza fra due modi di vedere e vivere: come mi era apparso visitandola di persona, in India la vita del singolo non ha valore. Nessun orgoglio, nessuna individualità e unicità, ma ognuno soltanto come un pezzo nomade dell'anima del tutto, che non aspira ad altro che ad annullarsi e fondersi una volta per tutte con il tutto da cui proviene.
In realtà, la discontinuità che sembra esserci tra mondo e eternità, fra male e bene, è un'illusione.

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