
A volte leggere la quarta di copertina è l’ultima cosa da fare per avere un’idea del contenuto di un libro.
Dopo l’incenso dei due o tre giudici entusiasti, che potrebbero anche avere ragione ma restano scontati e inflazionati e creano diffidenza in partenza, restava una descrizione per forza di cose generica e mancata, perché distillare un libro in tredici righe non si può.
A me pare che La stiva e l’abisso sia un libro sulla morte e la vita. Meglio, di come la vita sia un abituarsi all’idea della morte. Un libro barocco, un po’ perché ambientato su un galeone spagnolo del ‘600 immobile nella bonaccia, un po’ perché scritto in modo traboccante e ricco, spagnoleggiante appunto.
Dopo averlo finito ho riletto la quarta di copertina, ed effettivamente ho riconosciuto il libro. Ma il punto è che l’ho riconosciuto dopo, non prima. E forse, se non me l’avessero regalato, non l’avrei scelto.
Non che avessi saputo fare di meglio, ma i libri più belli sono sempre stati quelli che venivano da un suggerimento di un amico.