venerdì 19 dicembre 2008

lettera trovata in un foglio ripiegato, in un vecchio libro di favole


Sono le 8 e mezzo passate, nell'ultima ora mi accorgo che ho parlato da solo, a voce bassa, con gli occhi chiusi sul divano, immaginando di averti di fronte. Come mi piace ascoltare la tua voce, così era bello poterti parlare proprio in quel momento, senza pensare ad altro. Così, mentre negli ultimi giorni, come ti dicevo un pomeriggio, le ore mi sarebbero sembrate anni, ora quest'ora mi è sembrata un istante. Non so se leggerai mai questo foglio, e non c'è un motivo preciso per cui lo scrivo, ma soltanto mi fa stare bene. La colonna sonora di questi giorni per me è stata quella che sto sentendo ora, e che non smetterei mai di sentire, è delicatezza e forza allo stesso tempo, è l'Appassionata di Beethoven, che ha anche il mio numero, come la luna. Ricordo che l'altra sera, camminando dopo il cinema, mentre mi scrivevi e ti scrivevo, la stavo ascoltando, e mi sembrava che assecondasse i miei sentimenti. La ascoltavo al massimo del volume, perché mi piaceva esserne stordito, e mai come in quel momento avrei voluto suonarla io stesso, credo che l'avrei fatto senza smettere mai. Se c'è una cosa che voglio dirti è che ho scoperto in questi giorni di volerti bene, una sensazione semplice di stare bene e di non sentire la mancanza di nulla. Credo che questo, che scopro ora mentre ti scrivo, sia la cosa più bella, forse, di tutto ciò che accade: il sentimento del non sentire la mancanza di nulla, vicino ad un'altra persona. Forse dice tutto, e non c'è bisogno che aggiunga altro. Ma la musica sta continuando, ed è bello continuare a scrivere mentre la ascolto... Adesso sto sorridendo, mentre ti penso. A volte mi capita, inconsciamente, di immaginarti vicina mentre scrivo, leggo, bevo una tazza di tè... credo sia perché mi piacerebbe che ci fossi, perché sono sicuro che la tua presenza mi darebbe quel tepore e quella sottile bellezza, non riesco a trovare le parole, ma è qualcosa che viene dal profondo, e che è bello sentire affiorare. Se ripenso a tutto, a volte ho la sensazione di aver solo conosciuto, intuito qualcosa che poi è scomparso con la stessa velocità con cui era arrivato. I miei pensieri, le mie sensazioni non hanno avuto il tempo di rendersene conto, e ora ne sentono già la mancanza. Freddamente parlando, sono contento che sia finito così in fretta, che questo qualcosa non abbia avuto il tempo di crescere dentro di me, se questo era il suo destino. Sai, io ci avrei provato, a vedere cosa succedeva a questo qualcosa. Tante cose sono possibili, la situazione per te era ed è così complicata, chissà che forse io sia stato soprattutto un campanello d'allarme dovuto a tante cose, chissà in un'altra vita, comunque sì, io ci avrei provato. E ora, vederti ogni giorno e non poterti stringere quando voglio mi fa un effetto strano, che non so ancora descrivere, e che forse è legato alla mia insicurezza, la stessa che mi fa dubitare di molte cose, soprattutto di me stesso, della paura di non contare per chi mi sta attorno e considero speciale. Ci ripenso, e mi sembra così strano che certi momenti non si possano ripetere, è come quando mi scrivevi che hai l'impressione che le cose ti sfuggissero di mano come l'acqua che scorre fra le dita senza che possa riuscire a fermarla, neanche per un attimo. Quello che si può fare, forse, è solo ricordare, senza poter essere consolati di una mancanza che non si può riempire, e portare con sé questa pesante assenza cercando di affrontarla con il più possibile di serenità. A volte mi sembra un compito così difficile. Forse per te, paradossalmente, potrà essere d'aiuto la presenza di Matteo, e spero che le cose possano davvero aggiustarsi, se è così che deve andare. Ognuno ha sofferto in questo, per nessuno sarà facile. Io tornerei indietro in ogni momento, e rifarei ogni cosa, e non baratterei un bacio con la sofferenza di oggi e dei giorni a venire. Eppure, se penso a come andranno le cose, non posso fare a meno di provare un senso di amarezza, di malinconia, un qualcosa che dentro di me, in fondo in fondo, sento essere non a posto, e che credo resterà. Forse quel senso di non aver potuto mettermi in gioco veramente. È come se, oltre alla tua mancanza, ci fosse anche questa, con cui fare i conti, e sono due strapiombi profondi davanti a me. Durante queste righe mi accorgo di aver cambiato umore troppe volte, e forse di avere anche mostrato alcuni lati di me che non amo, ma che ci sono nel profondo, come l'egoismo e molti altri ben peggiori. Perdonami. Queste sono solo una piccola parte delle cose che ti direi se potessi, tenendoti le mani o accarezzandoti il viso. Te le direi sottovoce, sussurrandotele con gli occhi chiusi o forse guardandoti negli occhi, e proprio perché non ti posso mentire, ti direi ogni cosa così come la sento, complicata e semplice allo stesso tempo, lieve e silenziosa come te, forse con un sorriso bagnato dalla pioggia di un giorno di sole come te. Ora, vorrei ballare nel sole, sentire la sua luce e il suo calore su di me, respirarlo e respirare il suo profumo e riconoscerlo con gli occhi chiusi, il tuo calore e il tuo profumo. Chissà cosa ti direi. Ora ti dico di non rispondere a queste righe, perché sono state scritte per me stesso, soprattutto, anche se traboccanti di te, nei miei pensieri.

lunedì 15 dicembre 2008

con te non posso mentire..


Non si può raccontare un calore che trabocca, e la sensazione di benessere che avvolge.

Mi è capitato di scegliere un libro leggendo la sua dedica. L'autore è nato nel '38, ha settant'anni: "Lieto di concludere (suppongo) con l'Editore con il quale avevo esordito; grato a C. G. che l'ha propiziato". Sono rimasto colpito di fronte a un inizio come questo, che sia profondità, ironia, o indifferenza.

Non si può immaginare un tepore leggero e profumato, o la voglia di restare dentro un momento.

Non ho letto tutto il libro, per me è troppo tecnico, è un breve saggio per studiosi, per specialisti, e non mi ci ritrovo. Però, ho avuto l'impressione che si possa affrontare un argomento con un'onestà che deriva dalla consapevolezza e forse dall'età, dal fatto di avere la propria vita già scritta, visibile e spiegata davanti a sé. Quello che è fatto è fatto. E non si vuole rivoltare il mondo o restare nei libri di storia della filosofia, soltanto dedicarsi al proprio lavoro con intima onestà, una specie di senso del dovere al di sopra di ogni ambizione o illusione.

Non si può pensare alla paura di perdere qualcosa che non si ha.

Nessuna introduzione, nessun ringraziamento e nessuna prima persona invadente, meno che mai nelle note. Soltanto una ricerca, un contributo senza pretese, che riporta fra l'altro molti brani dai filosofi che tratta, sempre messi di fronte al problema del conflitto fra fede e ragione che li porta ad essere ognuno, a modo suo, onesto per quanto possibile:
Dell'immortalità dell'anima, io sono persuaso dalla fede, in quanto cristiano; ma non ne sono convinto - lo confesso - in quanto filosofo. Si vuole che lo sia? Mi si diano delle dimostrazioni; ... anche se non aggiungerebbero niente alla credenza che già ho... Se si accusa me, si devono accusare tutti; perché non c'è nessuno, penso, che non trovi nella religione delle cose palesemente in contrasto con la ragione e con i sensi. È questo a rendere necessaria la fede, e a costituire il merito del credere.

Non si può, sentire la mancanza della tua voce.

Così, ogni cosa perde a poco a poco il proprio senso. Alla fine del libro, cosa resta? Non resta nulla, se non il piacere e il privilegio di aver potuto dedicare il proprio tempo a una parte di sè, perché si scrive soprattutto per se stessi.

Con te non posso mentire.. ed è per questo, che non ho niente da dire.

giovedì 11 dicembre 2008

casa quanto ci stai, terre quante ne vedi


Martedì sera, chiudendo gli scuri della finestra della camera, ho notato che il cielo era coperto da uno spesso strato di grigio, carico di pioggia e di nebbia, molto diverso rispetto a quella trasparenza di cristallo del giorno prima, in cui si vedevano benissimo anche le stelle meno luminose.
Poco prima avevo finito un libro di Alda Bruno, La casina, la casa, le cose, ed ero stato contagiato dal senso di lenta calma che mi aveva trasmesso, quasi una nostalgia per un mondo che non esisteva più. Il primo pensiero, già mentre lo leggevo, mi ha fatto apprezzare la naturalezza con cui le parole accompagnano il digradare del mondo della nobiltà e delle ricche famiglie siciliane verso la contemporanea uguaglianza sociale, leggi appiattimento. Ma tutto questo languore ed eco di storie lontane mi ha fatto anche riconoscere il talento di chi scrive, capace di ricreare attorno a una trama di fatti esili e sparsi un'atmosfera densa, che resta profondamente addosso a chi legge. Soltanto una persona che appartiene a questo mondo poteva descriverlo così bene, leggera e ricca allo stesso tempo, una persona che ci ha vissuto e ne è rimasta impregnata.
Non sarei stato capace di andare oltre le 10 righe per scrivere questa storia. Mi piacerebbe molto possedere, questo sì, il talento del raccontare. E ora, ricordo le parole di chi diceva che complicare è facile, semplificare è difficile, e non mi sembra di essere d'accordo.

giovedì 13 novembre 2008

autobiografia di P.V.


[...] Con mio grande stupore mi trovo ad assumere figura e rango di poeta. Cerco di combinare le mie idee sulla poesia, le mie idee generali e i miei istinti musicali. [...] Il resto è noto. Frequento abbastanza i salotti, e sono considerato qualcuno a cui piace farlo. L'imprevisto mi ha sempre guidato. Non ho mai domandato niente - né perseguito niente di esterno - a me stesso. Ed ho raramente rifiutato. Possiedo una volontà abbastanza forte per le cose della mente. - Nessuna per le cose della vita. Non amo il facile. - E temo il difficile. Devo tutto ai miei amici. Il mio ingresso in letteratura a Louys, l'Accademia a Hanotaux e a qualche altro. Le mie opere a delle circostanze, e a degli editori.

Questa la fine di un'altra autobiografia, che per caso ho trovato in casa e ho letto. Altre due frasi mi hanno colpito, e il fatto di trovarle presenti nella stessa persona mi affascina.
Questa autobiografia parla di una notte in cui si rinasce, del desiderio di tendere soltanto all'esattezza spirituale e soprattutto di poesia.

Ricordo che per difendermi da una noia mortale, mi esercitavo durante le marce o le ore di guardia, a immaginare, con tutte le mie forze, scene o paesaggi, stati d'animo completamente diversi, è così precisamente che riuscivo a farmi una seconda vita per mascherare quella insopportabile realtà.
[...]
E faccio il mio 18 brumaio intimo - che si conclude con l'avvento di M. Teste. Ciò vuol dire che prendo la decisione di pensare in modo rigoroso - di non credere, di considerare nullo e non avvenuto tutto ciò che non può essere portato alla precisione totale, ecc...

mercoledì 12 novembre 2008

aspettando una mail


Stasera a cena non riuscivo a sopportare i rumori, soprattutto quelli del mangiare, erano come amplificati a dismisura alle mie orecchie, erano irritanti. Ho provato a tapparmi le orecchie annegando la testa distrattamente fra le mani, con i gomiti appoggiati al tavolo. Con lo sguardo perso senza dimensioni davanti a me, ho sentito il rumore dello spazio che avanzava, e per qualche attimo sono stato da solo con me stesso.

Prossime letture ipotetiche:
Dottor Pasavento, di Enrique Vila-Matas (ai piccoli racconti di Robert Walser non riesco ad appassionarmi veramente, ancora?, ma un uomo con la sua vita lo sento sempre vicino)
2666 seconda parte, di Roberto Bolaño
Vico, Autobiografia
Bruno, qualcosa
Manganelli, qualcosa
Tariq Ramadan, Islam e libertà
Ambrogio-Simmaco, L'altare della Vittoria
Alda Bruno, La casina, la casa, le cose

Al lavoro non c'è nemmeno un attimo di calma, tutto e sempre frenetico. Le pause sono un po' di musica al computer nella pausa pranzo (sono rimasto senza parole quando ho sentito per la prima volta la Sonata 17 del caro Ludovico Van, soprattutto il movimento finale), senza nessuno, e i viaggi in macchina in montagna e nel sole. Sono tutti sempre un po' malati, trascurati, e ogni tanto qualcuno cede. La sera sempre molto stanco, sempre poco tempo da dedicare al resto, sempre riposo forzato e quando non è forzato è preventivo. Ormai la gioia è riuscire a fare le piccole cose come pasare in lavanderia prima che chiuda.
Mi sto dimenticando di quanto esiste al di là di tutto questo. Mi sto dimenticando di troppe cose che mi sfuggono fra le mani.
E a qualcuno verrebbe voglia di dire: "... hai costruito tutto questo, va bene, hai successo e lo sai, ami leggere le tue lodi nei posti che contano e fai qualcosa di bello e piacevole. Ma alla fine: ma ch'a' fatt?".
Però alla fine mi dico che va bene così, e mi do tempo. E il tempo passa, e però vedo il bicchiere mezzo pieno, e anche un po' di più.

sabato 1 novembre 2008

scaramanzie


Il viaggiatore con la sigaretta l'aveva detto, partire di venerdì dal binario 17 non poteva promettere bene. E in effetti, nelle due ore passate fermi a Lambrate sono riuscito a finire il libro che avevo portato con me prima di partire, American ground.
È una bella sensazione, avere qualcosa da portare con sé in viaggio, da aprire dopo aver guardato per un po' il paesaggio scorrere dal finestrino. Peccato solo non avere di fianco nessuno con cui parlarne quando si alzano gli occhi dopo l'ultima pagina.

Alla fine, le ore di ritardo sono state più o meno tre, con un interminabile viaggio nella notte senza luci della campagna.
Poi, camminando fino a casa con le valigie, ho visto un barbone dormire avvolto dalle coperte con il proprio cane, e mi è venuto da ringraziare il cielo due volte. Una per avere un tetto sulla testa e coperte calde, l'altra per non essere ricco.

martedì 21 ottobre 2008

appunti


In fiera c'era una costruzione chiusa di cartone, il servizio di illustrazione espresso. Ho dimenticato il nome ufficiale, comunque scrivevi su un biglietto una frase, un nome, una parola che doveva essere l'ispirazione; imbucavi il biglietto, con una moneta; dopo un po' di pazienza (si poteva andare a farsi un giro), usciva la tua illustrazione personalizzata. A me è capitata una molto bella, con tutto a forma di L (avevo scritto "per Laura e Leonardo")...
Essere in viaggio è una cosa di cui non posso fare a meno, me ne accorgo sempre di più. Arrivare, partire, è un modo di stare solo che mi fa stare bene.
Sto leggendo più del solito, per cui sto trascurando altre cose che non vorrei lasciare da parte, come l'arabo e le fotografie. Nessuna fotografia a Francoforte, non avrei proprio saputo cosa fotografare. E anche cercando metodicamente, me ne dimenticavo subito. Un po' perché non ne avevo mai voglia, un po' perché mi dicevo che non avrei comunque trovato nulla in quella città.
Sempre a proposito dei diari, sperimento come sia molto difficile e faticoso per me riuscire a scrivere qualsiasi cosa con continuità, una cosa qualsiasi. È sorprendente, ma estremamente vero. Quando inizio qualcosa, vorrei aver già finito, e quando finisco qualcosa, vorrei avere appena iniziato. Ma questa è una citazione.

giovedì 9 ottobre 2008

diari


Ci sono persone che non solo tengono un diario, ma ci annotano ogni minimo dettaglio, quasi che fare e scrivere siano la stessa cosa.
Delfini a volte prendeva nota anche di aver mangiato un uovo al burro, Morselli teneva nota di particolari insignificanti, come il suo peso e la descrizione dei suoi vestiti in quel momento. A me capita spesso di non avere nulla da dire, o meglio che mi sembra valga la pena di dire. Però mi piacciono molto le parole di Delfini ("Quando io scrivo non sono io che scrivo. Quando io parlo non sono io che parlo. Quand'è dunque che dico o scrivo qualcosa?") e di Morselli, tutte.

Non sento il bisogno di tenere un diario, ma mi piace leggere quelli di persone che sento vicine al mio modo di essere.

giovedì 25 settembre 2008

Re: cambiamenti


Da: Nicola Locatelli
A: V. B. <.......@alice.it>
Inviato: Giovedì 25 settembre 2008, 21:12:33
Oggetto: Re: cambiamenti

Mmm... capisco.
Io mi dedico alle mail fra la portata principale della mia cena di oggi (pane e formaggio) e il dessert (yogurt bianco dolce con idea di cornflakes).

Che dire? che io, l'anno scorso, ho saputo che mi tenevano il 31 dicembre (data di scadenza del contratto), ma va tutto bene. Qui la concezione è ancora molto familiare e artigianale, anche se di fatto sembra il lavoro sia quello di una multinazionale, per lo meno il mio di questi giorni.
Durante il festival, l'atmosfera illusoria più pericolosa si era creata. E questa consisteva nel dire: "ah, c'è il festival, gran casino, begli eventi, meno male che un giorno finirà, e così si starà un po' più tranquilli". Niente di più sbagliato. Una volta finito, tutte le vulcaniche attenzioni della "dirigenza" si sono riversate al 100% sulla galleria, quindi in realtà il prima non era niente.

Per cui, speriamo che con il tuo secondo lavoro ti vada meglio. Sei preparata ai cambiamenti? Ma si può anticipare qualcosa?.. Dal canto mio, sto bene, inutile negarlo, e contemporaneamente mi ripeto sempre che quello che sto facendo qui è assimilare il più possibile, e darmi tempo. Forse, anche se volessi, non potrei fare molto altro, oltre al lavoro, qui.
Domenica ho inaugurato la nuova strategia di mini-viaggi di domenica, andando in un paesino che sulla carta del touring era sottolineato in verde sul lago di caldonazzo vicino trento. Vento tagliente e cielo minaccioso, ma immaginato con il sole non era male. Poi ho visto un minigolf, deserto, e mi è venuto in mente quando andavo a giocare con mio papà quando ero piccolo, sul lago di Iseo, e allora ho fatto una partita in solitaria. Media di 3 colpi a buca, direi dignitosa.

Peccato per le vacanze estive, ma mi saprai dire di parigi, se è veramente meglio di solarolo come dicono i francesi.
Allora a bientot, un abbraccio,
n

martedì 16 settembre 2008

una scena qualsiasi


Mi ero seduto da poco a un tavolo in piazza, all'aperto, quando un amico mi sfiora con la bicicletta, salutandomi, e andando ad appoggiarla e a chiuderla più in là. Mentre mi sistemo al mio posto (le sedie sull'acciottolato traballano facilmente), mi volto per vederlo venire verso di me, e nel voltarmi compare la sua compagna, a piedi. Si prendono così le misure di una possibile conversazione sincera, abbozzandola alla larga dalle ultime vacanze e dalla fine del festival, ma loro restano in piedi, e decidono poi di sedersi un po' più in là.
Da un tavolo dietro di me arrivano le voci biascicate di chi ha già bevuto abbastanza, seduta su una sedia appoggiata al muro una donna si è addormentata con il cane che tiene ancora al guinzaglio, tre donne eleganti arrivano ora e si siedono rilassate e sigaretta attorno a un tavolo.

Non ho fretta di finire la mia birra, e sarò l'ultimo. Qui ognuno sembra portare in fronte il peso del giorno, e a me sembra quasi di dimenticarlo per un attimo.

lunedì 8 settembre 2008

aiuto

Un'amica mi ha detto che ieri sera l'incontro con Saviano le è sembrato una grande richiesta d'aiuto.
Il teatro era colmo di persone già molto tempo prima dell'inizio, una presenza di polizia inusuale nella lenta provincia. Il mio posto era in alto, affacciato dal caldissimo e afoso penultimo ordine.

Ieri sera ogni cosa che Saviano ha detto non mi è suonata nuova, nel suo contenuto, ma credo di non aver mai desiderato applaudire così a lungo. Quell'applauso, ci pensavo mentre risuonava, era un modo di far sentire una vicinanza.
In quella frase, infatti, c'è tutta l'anima di una persona che si scopre, anche solo a tratti, sola.

giovedì 28 agosto 2008

il ritorno


Alla fine del viaggio, ho saputo che i bambini piccoli si addormentano soltanto quando sono veramente stanchi morti. Sembra che "credano" che con il sonno tutto finisca, e quindi vogliono ritardarlo il più possibile. Non sanno che dopo il dormire c'è di nuovo la veglia, e che tutto continua dal punto in cui l'avevano lasciato.
Ho pensato che la stessa cosa succede forse con la morte, come fossimo bambini nel non voler morire a tutti i costi.

Poi, mi sono sentito a casa quando ho visto una foto di Luigi Ghirri sulla copertina di un libro di racconti di Silvio D'Arzo, questa foto.

lunedì 18 agosto 2008

il sole allo zenit


A volte pensi che ci sia ancora molto da fare, non tanto per la povertà quanto per certa ignoranza. Poi ti rendi conto che certe cose capitano proprio dappertutto, e che dopotutto è stata una piccola disavventura in due settimane ricche di piccoli momenti, bellezza e sorpresa. Che bisogna riuscire a gustare, con semplicità.
Per esempio fra le piante al primo piano di un riad nella brulicante medina di Fes, con stucchi e soffitti altissimi di cedro decorato, candele e cuscini sui tavoli della corte interna per tutta la notte e pareti ricoperte dalle piccole tessere di ceramica blu e bianca. Ora, un giro in terrazza per inspirare ancora il profumo di qui, guardare la città in basso e il cielo sempre limpido in alto.
L'Africa non perdona, e il Marocco è una scoperta.

giovedì 24 luglio 2008

per completezza


Bozza di elenco degli eventi-chiave dell'estate:
- Sagra del tortello
- Sagra del gnocco fritto
- Corsa dei trattori
- “Rutto-sound”
- la Balorda (maratona alcolica non competitiva).

lunedì 23 giugno 2008

Boris Godunov


All'improvviso mi sono trovato all'interno di un teatro, nel buio più completo, assistevo a Boris Godunov, lotte dinastiche in Russia, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi, quando i terroristi sono entrati, hanno sparato, hanno sistemato le bombe e ci hanno presi in ostaggio, urlavano, urlavamo, e l'attesa immobile, tre giorni di attesa e tensione senza fine, a qualcuno cedevano i nervi, e poi, poco prima della fine, lo sguardo di quella ragazza, che aveva ucciso e aveva salvato.
Sono uscito dal teatro, stordito, il caldo soffocante della città, le persone: degli estranei.

venerdì 20 giugno 2008

Wasmes, aprile 1879


Scendere in una miniera è una sensazione molto sgradevole. Si scende in una specie di cesta o gabbia, come un secchio nel pozzo; ma qui si tratta di un pozzo profondo 500-700 metri, così che quando si guarda in alto dal fondo, la luce del giorno ha le dimensioni di una stella nel cielo.
È come trovarsi a bordo di una nave per la prima volta, ma ancora peggio: fortunatamente, il viaggio è breve. I minatori vi sono abituati e tuttavia non riescono mai a vincere un giustificato senso di paura e di orrore. Comunque, una volta giunti sul fondo il peggio è passato e si è largamente ricompensati del disturbo da tutto quello che c'è da vedere.

Il mio indirizzo è: Vincent van Gogh, presso Jean Baptiste Denis; Rue du Petit Wasmes, Wasmes (Borinage, Hainaut).

giovedì 19 giugno 2008

al freddo


Certe volte, soprattutto la sera, la nostalgia di una metropoli, fredda e distaccata, brulicante, anonima, un cinema da solo d’inverno. E tutto finisce con il giorno, senza domani.

martedì 3 giugno 2008

attese deluse


Mentre le leggo, sono stupito da quello che trovo nelle poesie di Robert Walser. O meglio, di quello che mi aspettavo di trovarci, ma che invece non riconosco.
Mi manca l'infantile ingenuità di certi passaggi, ma soprattutto la profondità del sentimento dell'anima che segue subito dopo. Mi manca tutta quella sua vita, quel voltarsi indietro a guardare che a volte ho sentito così mio. Il rumore umido e soffice delle scarpe nella neve che si sentiva scorrendo le sue pagine.
Ma devo ancora finire di leggere.

Pensavo ieri notte
sono le stelle che cantano,
quando fui svegliato
e sentii suonare piano.

Ma era una fisarmonica,
penetrava nella stanza
e risuonava angosciosa
nella notte fredda e pungente.

Pensai così alle lotte perdute,
alle suppliche e alle maledizioni
e a lungo udii cantare ancora,
a lungo rimasi sveglio.

lunedì 26 maggio 2008

domenica 24 aprile 1994


C'è un lavoro di Alighiero Boetti privo di quella dimensione ludica e di quella piacevolezza visiva di tanti suoi lavori. Un lavoro aspro, nello stesso tempo evidente e ermetico, beffardo e molto inquietante. Serie di merli disposti a intervalli regolari lungo gli spalti di una muraglia è una sequenza di telegrammi ingialliti, messi in linea orizzontale sotto un vetro, con uno spazio lasciato all'estrema destra della bacheca, per un ulteriore telegramma. Il primo telegramma, indirizzato all'amico Gian Enzo Sperone dice "due giorni fa era il 2 maggio 1971", firmato Alighiero e Boetti; il secondo, sempre a Sperone, dice: "quattro giorni fa era il 2 maggio 1971"... poi diventano 8 giorni, 16, 32, 64 ecc. Gli intervalli tra una spedizione e l'altra diventano mesi, poi anni. L'ultimo telegramma (5 ottobre 1993) corrisponde all'8192esimo giorno rispetto alla data di partenza. Il prossimo (l'ultimo), per lo spazio lasciato libero, era previsto per l'anno 2017.

sabato 17 maggio 2008

1948

Da: Ostellino Piero
A: Nicola Locatelli
Inviato: Sabato 17 maggio 2008, 17:25:15
Oggetto: R: A proposito del suo articolo su L'Europeo (Israele)


Le mie parole le sono sembrate a senso unico perchè la propaganda anti-israeliana ha creato tali e tanti "fantocci polemici" (obiettivi artificiosi di comodo) che qualsiasi ricostruzione dei fatti come sono accaduti pare di parte. Non dimentichi che fra i Paesi che hanno votato per la spartizione della Palestina c'erano l'Unione Sovietica e tutti quelli del blocco sovietico. Che solo dopo, per ragioni strategiche, hanno contribuito a creatre i fantocci di cui sopra. Ostellino

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Da: Nicola Locatelli
Inviato: sab 17/05/2008 13.39
A: Ostellino Piero
Oggetto: A proposito del suo articolo su L'Europeo (Israele)


Gentile Prof. Ostellino,
da non esperto in materia, ho letto il suo articolo apparso su L'Europeo dedicato a Israele e l'ho trovato in alcuni punti estremamente interessante. Tuttavia, ribadisco da semplice lettore, globalmente anche aprioristicamente (e incomprensibilmente) schierato.

"Secondo un diffuso luogo comune, la nascita di Israele sarebbe figlia del senso di colpa dell'Europa per lo sterminio di 6 milioni di ebrei... per placare il proprio senso di colpa, la comunità internazionale avrebbe espropriato i palestinesi delle loro terre...".
In realtà, non vedo come si possa negare la presenza di questa componente psicologica all'indomani della guerra, se non altro come "laissez-faire" nei confronti di ciò che stava accadendo in Palestina. Inoltre, non vedo come si possa negare che il fatto stesso della nascita di un nuovo stato abbia comportato l'espropriazione di terra a un proprietario, chiunque fosse. La comunità internazionale sarebbe stata così condiscendente se lo stato d'Israele si fosse formato (per assurdo) nel cuore dell'Europa? O forse ha lasciato che tutto ciò succedesse in una zona del mondo ormai difficilmente controllabile, dove non poteva causare problemi ai propri immediati interessi?
Il peso e l'importanza di queste componenti possono essere discusse, ma credo che metterle da parte come semplice "luogo comune" non contribuisca a fare luce sulla situazione.

Mi è inoltre totalmente oscuro il passaggio: "Chi, a sua volta, sostiene il diritto di Israele alla propria esistenza e continua contemporaneamente a considerare la diaspora palestinese un'ingiustizia, non sembra capire che la sua è una contraddizione logica, politica e storica che allarma Israele e contribuisce solo ad alimentare il pericoloso e improponibile revanscismo palestinese. Se lo capisce, la smetta di dare un colpo al cerchio e l'altro alla botte, per malinteso senso del politicamente corretto".
Personalmente non riconosco affatto la contraddizione fra i due aspetti, a mio modo di vedere entrambi legittimi, e non riesco a capire quale possa essere la soluzione che lei propone. Forse è necessario abbracciare totalmente una sola delle ragioni in causa? Forse che una esclude l'altra? Che importanza può avere il fatto che si rischi di allarmare Israele sostenendo che la diaspora palestinese è un'ingiustizia? Tanto più che, come sottolinea lei stesso nel corso dell'articolo, la situazione attuale dei palestinesi non dipende certo interamente da Israele ma in gran parte dalla politica seguita dagli stati arabi vicini. Inoltre, sempre come è ricordato nell'articolo, proprio perché Israele è uno stato autenticamente democratico, dove i diritti civili e le libertà individuali sono tutelati e riconosciuti, non credo che si debba avere timore di esprimere la propria opinione in materia.
Credo che questa contraddizione sia apparente e semplicistica, e rischi di fare il gioco di chi ha colpevolmente infuso l'indottrinamento e fomentato il fondamentalismo religioso e l'odio senza quartiere.

A proposito delle "affermazioni di fonti non sospette" secondo cui "ogni sforzo è compiuto dagli ebrei per convincere la popolazione araba a rimanere e a condurre insieme a loro una vita normale (da un rapporto della polizia britannica del 26 aprile 1948)", mi permetto francamente di dare a questi rapporti il valore che trovano (sarebbe come leggere i rapporti dei servizi segreti libici per sapere cosa sia accaduto a Ustica), e cito ad esempio le varie azioni del gruppo Stern e in particolare il massacro di Deir Yassin, ricordato nell'articolo successivo a firma di Giuliano Ferrieri, e liquidato con la frase "quale guerra può non averne?" (di pagine nere).

La grave responsabilità degli stati arabi nei confronti della situazione palestinese è fuori discussione, ma negare semplicemente che nel mondo arabo esistano correnti di pensiero che abbiano "il coraggio e la volontà di esprimere liberamente opinioni che non siano quelle del fondamentalismo religioso e dell'odio" è francamente inesatto e forse altrettanto estremista. Basti pensare a una voce come quella di Samir Kassir, giornalista libanese ucciso in un attentato terroristico il 2 giugno del 2005 per le proprie idee.
Giornali e giornalisti dovrebbero contribuire a far conoscere e incoraggiare le voci del dissenso arabo anziché ignorarle e passarle sotto silenzio, se veramente hanno a cuore i diritti civili e le libertà individuali di quella regione.

A mio modo di vedere, israeliani e palestinesi sono entrambi prigionieri della facile cultura del vittimismo.
I soprusi innegabili subiti da una parte e dall'altra, nel passato recente o meno, diventano ora l'alibi per continuare a difendere ad oltranza, ciechi e sordi, delle posizioni incancrenite senza più nessun senso. La colpevole ignoranza in cui sono tenute le popolazioni arabe alimenta questa spirale vorticosa che evidentemente conviene a molti, forse molti più di quelli che si possa immaginare.
Mi lasci dire tuttavia che, proprio perché Israele è l'unico stato moderno, democratico e libero della regione, il fanatismo e l'oltranzismo di matrice ebraica appare come più assurdo, inaccettabile e ingiustificabile. Quando una parte degli israeliani vuole difendere ad ogni costo gli insediamenti, i territori occupati e impedire la creazione di uno stato palestinese, allora rovescia le parti, fa mostra di un'assurda miopia e insegue veramente "l'impossibile", per citare le sue parole. E la politica, come lei stesso dice, è invece "l'arte del possibile".

Mi sarebbe piaciuto poter conoscere la sua opinione su alcuni punti che restano senza risposta (ad esempio, sulla possibile soluzione del problema di uno stato palestinese, dopo aver eliminato diverse ipotesi utopistiche e non praticabili). In ogni caso, le sue parole mi sono troppo spesso sembrate impegnate a cercare responsabilità quasi esclusivamente "a senso unico".

Le auguro buon lavoro, cordialmente,

N. L.
mantova

sabato 3 maggio 2008

su una sedia al fresco


Mi sembra fosse stato Petrarca a dire di non fidarsi della memoria quando si incontrano brani che colpiscono, o vengono alla mente frasi da ricordare: bisogna scriverle il prima possibile su un pezzo di carta o un quadernetto, che si dovrebbe sempre avere appresso.
Se ci si fida troppo della memoria, quei ricordi scompaiono a poco a poco, sbiadiscono inesorabilmente.

Io mi ricordo una frase di Primo Levi, che mi riporta sempre alla realtà quando me ne distacco troppo nei pensieri, e allo stesso tempo ha l’effetto di ricordarmi la pochezza delle cose che possono rendere felice o infelice, ma di come sia difficile distaccarsene. "Se si escludono istanti prodigiosi [...] che il destino ci può donare, amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra".

Quanto a me, ho chiesto ancora una volta il silenzio.

martedì 22 aprile 2008

un lancio di dadi


Se finisco un libro che mi ha affascinato, mi rimane il sapore fra le labbra, e non voglio iniziarne un altro per paura di dimenticarlo troppo in fretta.

Sui gradini della piazza silenziosa, mentre il caldo giusto ancora non arriva, questa sera ho letto le ultime pagine di Alessandro o Della verità, di Arno Schmidt. Quattro racconti scritti negli anni ‘50 e ambientati nell'antichità: l'io narrante è un vecchio visionario che fugge da una prigione cartaginese, uno scienziato che vuole misurare la circonferenza del mondo a piedi, un discepolo di Aristotele che si mette in viaggio per conoscere di persona Alessandro, un filosofo pagano fra i cristiani della corte di Giustiniano.

Impossibile descrivere le frasi traboccanti che si accatastano veloci l’una sull’altra, tutto il ribollire di astronomia e società e sogno insieme. La mia naturale diffidenza verso i personaggi storici o quasi calati nei romanzi ha gettato la spugna: troppo visionario per non affascinare.

martedì 8 aprile 2008

casa d'altri


Fu una sera. Sul finire d’ottobre.
Me ne venivo giù dalle torbe di monte. Né contento né triste: così. Senza nemmeno un pensiero. Era tardi, era freddo, ero ancora per strada: dovevo scendere a casa, ecco tutto.

Casa d’altri è un racconto scritto da un giovane, Silvio D’Arzo, in cui l’io narrante è un anziano prete di montagna, sulle valli emiliane vicino a Bobbio. L’ho letto perché mi è stato regalato, e ho trovato semplicità e quotidianità, anche nella domanda più difficile che non si lascia nemmeno pronunciare.
Nel frattempo avevo comprato Lavorare stanca, di Cesare Pavese, attirato dall’idea di una poesia narrativa, quasi parlata, dalla descrizione della consuetudine e dell’identico che vivono nell’uomo, e non dell’evento assoluto e unico.
Scoprivo poi che Pavese aveva rifiutato per Einaudi il racconto di Silvio D’Arzo, lo aveva giudicato una novella “gracile”, e mi perdo a pensare al perché. Dopotutto, oltre questa gracilità, ho visto un profondo senso di inquietudine umana, che viene proprio dal fatto di non sentire il mondo come casa propria, casa d’altri, che forse anche Pavese doveva provare.

C’è quassù una cert’ora. I calanchi ed i boschi e i sentieri ed i prati dei pascoli si fanno color ruggine vecchia, e poi viola, e poi blu.

domenica 30 marzo 2008

cinquanta secoli


Ognuno di noi muore solo e muore interamente: sono due verità che i più rifiutano, giacché i più durante tutta la loro vita sonnecchiano e quando stanno per morire temono di svegliarsi. La solitudine è una scuola di morte e l’uomo comune non la frequenterà mai, l’integrità si ottiene altrove, essa è dunque la ricompensa della solitudine …

La biografia di Albert Caraco sembra quella di un ipotetico personaggio di un racconto di Borges, oscura, frammentaria, prende le mosse in oriente ma prende subito altre direzioni: nasce nel 1919 a Costantinopoli, da una famiglia ebrea stabilitasi da diversi secoli in Turchia. Poi, al seguito della famiglia, Vienna e Berlino, prima della fuga dal nazismo a Parigi e in Uruguay. La conversione al cattolicesimo, per opportunità sociale, sarà poi negata nella solitudine degli anni interminabili di studio solitario e nel suicidio, messo in pratica come anticipato in un suo libro poche ore dopo la morte del padre. Attendo la morte con impazienza e arrivo ad augurarmi il decesso di mio padre, poiché non oso uccidermi prima che se ne vada. Il suo corpo non sarà freddo quando io non sarò più al mondo.

Breviario del caos è la raccolta delle ammonizioni di un nuovo profeta del Paganesimo, che vuole prendere l’uomo per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, che professa un ritorno alla terra giacché il Cielo è vuoto.

La morte e lo sfacelo sono in ogni pagina, il dito è puntato contro i sonnambuli che compongono la massa degli esseri umani, il loro numero che continua a crescere a dismisura, ma anche preti, bottegai e capi di governo, responsabili delle illusioni e delle menzogne che portano il mondo alla catastrofe: gli uomini saranno puniti per aver cercato un Padre in Cielo, sterminati violentemente dal fuoco, e i sopravvissuti saranno allora orfani consapevoli, che vivranno e moriranno da uomini liberi.

domenica 23 marzo 2008

in Messico


2666 (le prime tre parti del libro, probabilmente incompiuto, mentre la quarta e la quinta parte usciranno in autunno) mi sembra un libro scritto in fretta, in una notte, e pubblicato senza essere riletto. Mi sembra la brutta di 2666.

Da qui, mi chiedo chi era Roberto Bolaño, che vita aveva fatto, quanto era stato importante per lui il Messico, cosa pensava di quanto scriveva, e anche, curiosamente, cosa ci sia di Roberto Bolaño in 2666.

Difficile dire… certo è che, dopo una conversazione sugli editor di testi nelle case editrici, sono rimasto ingenuamente e profondamente colpito, a bocca aperta, da quante cose nascono dal lavoro metodico di revisione, correzione, riscrittura, dal peso del “mercato”, e da quanta poca sostanza ci possa essere a volte dietro un nome. Da quanto la vera sostanza sia a volte proprio quel nome.

Mi accorgo di stare leggendo ogni cosa giudicando e pensando al lavoro “oscuro” degli editor.

lunedì 3 marzo 2008

solo un poco

Di ritorno, ho trovato la primavera, quei fiori appassiti al sole di un aprile ormai lontano. Dalla finestra, la tv del vicino di fronte ancora accesa, come se fosse rimasta sempre così.
Un po' di voglia di piangere, per quello che ormai è perduto, per una canzone che va e viene, per le cose che vorrei dire e bisbigliare.
Ho letto che Sergio Quinzio si è ritirato nello studio della Bibbia dopo la morte di sua moglie. Lui scriveva che la manifestazione di Dio nella storia è sempre più debole e penosa. E che la sua adesione alla chiesa è, piuttosto che ostacolata, aiutata dall'evidenza del suo squallore: mi rispecchio in essa, mi riconosco in essa.
Restano solo i pensieri.

domenica 2 marzo 2008

l'ultimo sole

Mi è capitato, nel cuore dell'Europa, di sentire la mancanza della provincia in mezzo alla campagna, dove tra le mura strette non può accadere niente che sorprende.
È stata un'immagine della vita sempre uguale a se stessa, delle rassicuranti vie deserte del colore dei mattoni.
Mi chiedo come mai questa sensazione, mi chiedo se per caso non stia mettendo radici, forse senza volerlo veramente.
L'altra sera, parlando con J., ho spiegato che la nostalgia non è per forza di qualcosa, ma esiste anche in sé. Forse è solo la sensazione di non appartenere a un luogo, a un modo di essere, ad un momento, senza sapere perché, e senza avere una risposta.

lunedì 28 gennaio 2008

apocalittici


…come si fa a trattenere l’impulso se non vile puerile di, non appena fabbricato un alcunché, sedere sull’uscio di casa o del padiglione nella fiera (con l’aiuto talvolta di altoparlanti, volantini, ragazze discinte distribuenti inviti, lancio elicotterico di assegni, spinte non metaforiche di scimmie antropomorfe raccolte in gruppi statali o teologici), sotto la scritta: “Godetevi per la burlesca somma di x sesterzi la penetrante soddisfazione del mio alcunché. Se non lo fate siete degli ignoranti. Vi supplico per la memoria di vostra madre e per l’orgoglio della patria: ho moglie e bambini. Aiutate l’industria nazionale: il mio alcunché sorpassa quelli precedenti”. Queste scritte ricattatorie possono naturalmente assumere gli aspetti più diversi, perfino un aspetto estremamente dignitoso (Joyce, Hugo von Hoffmannsthal). […]
Tali scritte e richiami sono così normalmente accettati, d’altra parte, che se un autore colpito da veggenza chiede come Kafka che le sue opere vengano bruciate (cioè non crede più alla possibilità di tornare in qualità di fantasma a godersi la fama futura), lo si considera delirante e gli si nega la facoltà di intendere e volere.
[…]
Che
La nube purpurea, pubblicata nel 1901, sia un capolavoro, continuamente più riuscito e trascendente di un qualsiasi romanzo di Émile Zola – per nominare a caso un grande famoso sull’orlo del secolo – sembra non solo accertabile in sede di lettura, ma anche dimostrabile in sede critica. Se si paragonano gli argomenti profferti, nel romanzo di Zola troveremo probabilmente una famiglia torbida, un padre ubriaco, una figlia prostituta, la differita constatazione che i poveri sono poveri, che gli avari sono avari e che a parigini abitano a Parigi; se a un tratto apparissero tra i personaggi un egizio, o semplicemente un pesce volante, ho l’impressione che il romanzo barcollerebbe, a dimostrare la fragilità della sua struttura. Nel romanzo di Shiel vengono proposte invece, tra molte altre cose, e senza barcollare: 1. la fine del mondo e relativa morte dell’umanità (con la singolare eccezione della moglie del Sultano di Turchia); 2. la scoperta del Polo Nord, che è un lago pieno di occhi con nel centro un’iscrizione che nessuno mai leggerà; 3. l’incendio e distruzione col tritolo di Londra, Parigi, Bordeaux, Bombay, Pechino, Nagasaki, San Francisco e Costantinopoli; […]

J. Rodolfo Wilcock, 1967


E poi si susseguono qui intorno film e romanzi sulla fine del mondo. In Io sono leggenda l’umanità è decimata da un virus generato da una cura del cancro mutante, e chi non muore si trasforma in una bestia rabbiosa dell’oscurità assetata del sangue dei pochi, inspiegabilmente, immuni. Un film di fantascienza ambientato nel 2009. Cioè l’anno prossimo.
In Dissipatio H.G. il protagonista, di ritorno dalla grotta dove ha rinunciato a suicidarsi, scopre che gli uomini si sono semplicemente dissipati, smateriallizati, dissolti senza motivo e spiegazione alcuna. Ma questo accadeva per Morselli nel 1973.

E così, ieri mattina il timido sole mi ha fatto venire voglia di una panarellina. Peccato non abitare più vicino a Genova.

lunedì 7 gennaio 2008

questioni


Non è stato rispettoso definire "bella" l'idea di un film su un'esistenza di sofferenza. Forse era solo il desiderio di poterla conoscere più da vicino..
Di nuovo una nota del Diario:

Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sin a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito. – Tutto è ugualmente inutile.
6 novembre 1959

mercoledì 2 gennaio 2008

24 maggio 1938


Fino a poche settimane prima della morte, Guido Morselli aveva tenuto un diario, lungo circa 35 anni. Diciamo forse, per chiarire a se stesso cosa pensare. Per il poco che ho letto finora, non sono molti i fatti del mondo reale che annota, sono piuttosto i suoi interessi del momento, le sue letture, che poi, con le sue sensazioni, vanno a finire nell’abbozzo di romanzo che stava scrivendo.
Fra 1943 e ‘44 si trova sui monti della Calabria, attendato con il suo reparto nel mezzo dell’inverno.
Ho pensato che sarebbe bello fare un film, della sua vita.