Finalmente nella parte più alta dell'immenso edificio arrivammo in un solaio dove si sentiva un odore di carta e cartone, e lungo le pareti per molte centinaia di metri si vedevano sportelli di armadi, dorsi di volumi e fasci di documenti: un archivio enorme, una grandiosa cancelleria. Nessuno si curò di noi, tutti lavoravano in silenzio; ebbi l'impressione che tutto il mondo, compreso il firmamento stellato, fosse governato di lì o almeno registrato e sorvegliato. Rimanemmo a lungo in attesa, intorno a noi giravano senza far rumore, con le mani piene di schede e cataloghi, numerosi bibliotecari e archivisti che appoggiavano scale e vi salivano, mentre montacarichi e carrelli erano in moto sommesso. Infine Leo si mise a cantare. Commosso ascoltai quelle note che una volta mi erano tanto familiari: era la melodia di uno dei canti della Lega.
A quel canto tutto si mise in movimento. I funzionari si ritirarono, la sala si allungò verso sfumanti lontananze, piccoli e irreali lavoravano i diligenti impiegati al fondo dell'immenso paesaggio degli archivi; ma la zona vicina si vuotò del tutto, si allargò solennemente, nel mezzo apparvero numerose sedie ben allineate e, un po' dal fondo, un po' dalle numerose porte della sala si fecero avanti molti Superiori, i quali andarono a mano a mano a occupare tranquillamente le sedie. Le file si empirono l'una dopo l'altra, elevandosi gradualmente ad anfiteatro e culminando in un grande trono che non era ancora occupato. Il solenne sinedrio empì la sala fino al trono. Leo mi guardò come per ammonirmi ad aver pazienza, a tacere rispettosamente, e a un tratto scomparve in mezzo ai Superiori e non mi riuscì più di rintracciarlo. Vidi invece qua e là, tra i Superiori che si adunavano intorno all'Eccelso Seggio, qualche figura nota, seria o sorridente, vidi Alberto Magno, il barcaiolo Vasudeva, il pittore Klingsor e altri.
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