sabato 17 aprile 2010

mappa dell'oceano


Osservare metodicamente le strade e le persone, applicarsi, prendere tempo, sforzarsi di esaurire il soggetto anche se sembra cosa grottesca e futile, non scrivere "eccetera".
Annotare il luogo (la terrazza di un caffé vicino all'incrocio Bac-Saint-Germain), l'ora (le sette di sera), la data (15 maggio 1973), il tempo (bello stabile).
Vedere quello che c'è da vedere, quello che succede di notevole. Si sanno riconoscere le cose notevoli? C'è qualcosa che ci colpisce? Non ci colpisce nulla. Non sappiamo vedere.

Vorrei che esistessero dei luoghi stabili, immobili, intangibili, inviolati e inviolabili, immutabili, radicati; dei luoghi che siano dei riferimenti, dei punti di partenza, delle fonti.
Il mio paese natale, la culla della mia famiglia, la casa dove sarei nato, l'albero che avrei visto crescere (che mio padre avrebbe piantato il giorno della mia nascita), il granaio della mia infanzia riempito di ricordi intatti...
Non esistono luoghi come questi, ed è proprio perché non esistono che lo spazio diventa domanda, cessa di essere evidenza...
Lo spazio è un dubbio, devo continuamente contrassegnarlo, designarlo, non è mai mio... I miei spazi sono fragili, il tempo li userà, li distruggerà, e niente assomiglierà più a quello che era, i miei ricordi mi tradiranno, l'oblio s'infilerà nella mia memoria, guarderò senza riconoscerle alcune fotografie ingiallite dai bordi tutti rotti.
Lo spazio fonde come la sabbia che cola dalle mani. Il tempo vince e non me ne lascia che qualche lembo informe.
Scrivere: cercare meticolosamente di trattenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa, sottrarre qualche resto al vuoto che si scava, lasciare, da qualche parte, un solco, una traccia, un marchio o un qualche segno.

domenica 4 aprile 2010

conversazioni

Di certe pesche si dice in italiano che hanno "l'anima spicca", il nocciolo, cioè, ben distaccato dalla polpa. A spiccarsi del pari il cuore dalla carne o, se vogliamo, l'anima dal cuore, è chiamato l'eroe di fiaba, poiché con un cuore legato non si entra nell'impossibile.
Cristina Campo

Parlavo giorni fa con un ospite venuto da lontano, alternante un modo di fare brusco e burbero a slanci di umanità e ricordi. Mi diceva che ai suoi figli, che nonostante la sua ampia età sono più giovani di me, ha lasciato soltanto un consiglio su cosa fare nella vita, lavorativamente parlando. Fate quello che, se ne aveste la possibilità, fareste senza nessun compenso.
Mi ha colpito che questa riflessione venisse da un cittadino del paese più attento e governato dalla logica del profitto, gli USA, e so per esperienza che nemmeno lui non ne è affatto immune. Ma dopotutto, pensandoci, mi sembra che dietro questa apparente contraddizione ci sia un modo di vedere coerente.
Bob è una persona che ha dovuto sgomitare per farsi apprezzare, e conosce il valore incalcolabile di un lavoro che appassiona, rispetto al baratto fra alcune ore del proprio tempo e uno stipendio a fine mese. E da americano, conosce ugualmente l'importanza del mercato e del profitto.
Il suo suggerimento non è un ripudio dei soldi, che non hanno colpe in sé, ma una sottolineatura che il denaro da solo ha certamente un prezzo, ma non ha un valore. Il valore viene al contrario dal poter seguire un'inclinazione personale, quello che si chiama anche "realizzare se stessi".

Si può avere uno stipendio senza essere realizzati, ma dificilmente si può essere realizzati senza uno stipendio. L'ideale, come nel suo caso, è chi si sostenta con i proventi di ciò che ama fare. E ci siamo trovati d'accordo nel constatare che sono pochi quelli che hanno la fortuna di essere in una situazione simile, e che non è facile rendersene conto.

A volte mi sembra che, un po' come in borsa, il breve termine abbia il sopravvento nel soppesare le decisioni. Con distaccata amarezza, lo dico anche per me stesso.